Alcune cose che ho capito dopo 4 mesi a San Francisco

“AmeriQua” è un film senza pretese che ho visto per caso l’anno scorso, il cui titolo esprime bene il sentimento che – in parte – si prova tornando in Italia dopo aver passato un po’ di tempo negli USA: il nostro Paese è stupendo, si può arrivare dal mare alla montagna, dalla città alla collina in pochissimo tempo, godendo di paesaggi sempre nuovi, di cibo e di vino come in pochi altri posti al mondo, e con culture (sì, intese in tutti i sensi) anche molto diverse tra loro ma permeate da un unico filo conduttore…

Italian Food in Little Italy

Tuttavia l’obiettivo di questo post è cercare di riassumere le sensazioni, i ricordi e le esperienze che ho avuto durante la mia permanenza a San Francisco, città di cui mi sono innamorato e dove ho soggiornato per Blomming dallo scorso luglio fino ad ottobre di quest’anno: questa esperienza è stata una delle più importanti che io abbia mai fatto, mi ha cambiato la vita e vi racconto alcune delle cose che ho imparato.

1. Usare la propria energia al meglio.
A San Francisco mi sentivo più energico, lavoravo 10-12 ore al giorno senza fatica (cercavo anche di camminare tanto e mangiare sano). Ero anche più produttivo, aiutato dal fuso orario che mi permetteva di comprimere l’utilizzo compulsivo degli scambi e-mail con il team in Italia durante le mie prime 2-3 ore del mattino o da mezzanotte in poi. Credo che comunque la vera chiave di lettura sia nel motto “work hard, play hard” e nel comprendere l’importanza di essere produttivi, ma anche nel riuscire a rilassarsi prendendo entrambe le cose con la stessa serietà. Sarà forse per questo che ogni startup che si rispetti abbia da quelle parti enormi spazi comuni per scambiare due chiacchiere, giocare, mangiare, leggere o magari anche fare un breve “nap” (pisolino)?

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nintendo

2. L’ecosistema per fare startup c’è e si vede, si sente e si respira ovunque.
Quello che si vede da fuori è solo la punta dell’iceberg e sembra già abbastanza grande. Se si é affamati di startup e/o assetati di tecnologia si può essere sempre sazi partecipando alle decine di eventi, conferenze, meetup che ci sono ogni giorno a San Francisco o nella Silicon Valley (la cosiddetta Bay Area). Gli eventi possono essere particolarmente impegnativi da seguire continuamente, ma la cosa bella è l’estrema facilità con cui si possono incontrare persone interessanti (altri startupper, geek, etc.) al pub, al ristorante, negli spazi di co-working o anche solo camminando per la strada: l’importante è abbattere la propria timidezza ed essere sempre aperti a nuove conoscenze.

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Ad esempio mentre stavo lavorando alla mia scrivania presso WeWork, la ragazza che avevo di fronte, vedendo lo sticker di Blomming sul mio laptop mi ha chiesto: “Do you work for Blomming?” 🙂 …così ho conosciuto per caso uno dei nostri clienti americani che poi abbiamo anche aiutato con molto piacere a incrementare le vendite.

IMG_8340Tutto ciò comunque è lo “zucchero” fornito dal valore dell’ecosistema startup, fondamentalmente formato da persone di diverso genere (essenzialmente geek + investitori), ma caratterizzato da una certa complessità molto difficile da riprodurre. In realtà questo tema meriterebbe (meriterà?) un approfondimento a parte, ma per ora voglio almeno ricordare la pragmatica dissertazione di Paul Graham di qualche anno fa che rende molto bene l’idea: “How to be Silicon Valley” [No, non lo cito perché voglio lasciar passare inosservato o perché sono d’accordo con lui sul flame di qualche mese fa sugli accenti stranieri – su questo tema piuttosto mi sento di essere d’accordo con Mark Suster – ma solo perché la sua dissertazione sulla Silicon Valley é oggettivamente interessante].
Nota: non scrivete ai venture capital spammandoli. La cosa da fare é crearsi un network locale, meritare fiducia e infine chiedere di essere introdotti. Altrimenti non verrete considerati.

3. Le conferenze vengono prese sul serio. A volte molto seriamente.
Ecco il badge più curato che io abbia mai visto in una conferenza: una scheda costruita appositamente per FutureStack, collegata con un’app da scaricare sul telefono, che serviva per votare le presentazioni e scambiare i contatti con gli altri partecipanti semplicemente appoggiando una scheda sull’altra. Roba per geek sì, ma molto cool!
FutureStack

4. Fare una startup Lean non é scontato neanche lì.
Nel periodo in cui sono stato a San Francisco ho avuto il piacere di passare un po’ di tempo con vecchi amici e anche di conoscerne di nuovi. Tra questi c’è Filippo (Spike) Morelli conosciuto iscrivendomi al Lean Startup Circle (di cui lui é uno degli organizzatori). E’ un’esperienza che consiglio a chiunque voglia fare startup e ho capito che c’é ancora molto da imparare sul “metodo scientifico” per applicare i princìpi di Lean Startup: anche a San Francisco e nella Silicon Valley sono relativamente in pochi a farlo e – mia opinione personale – l’unico che finora ha fornito delle metodologie applicabili è stato Steve Blank.
Sono anche molto utili gli eventi di Lean Startup Machine, che ora sono organizzati in tutto il mondo, ma ho avuto il piacere di essere invitato ad uno di quelli di San Francisco…Si respirava tanta energia!
Off topic: con Spike abbiamo recentemente fatto un evento estemporaneo a Milano su questi temi (io l’ho semplicemente organizzato). Visto il successo e l’interesse sto pensando di farne qualcun altro nel 2014. Nel caso iscrivetevi qui o mandatemi semplicemente una e-mail.

5. A San Francisco non si può essere timidi.
Fortunatamente le persone sono molto socievoli da quelle parti ed ogni occasione è buona per “attaccare bottone”, imparare nuovi modi di dire, conoscere nuovi posti, diventare campioni di Beer Pong (gli Americani lo praticano sin dal college quindi sono tutti ben preparati!), fare nuove amicizie o scambiarsi i biglietti da visita (a me è successo due volte, chiedendo informazioni per strada, di incontrare altri imprenditori, percorrere insieme un pezzo di strada per poi scambiarci il biglietto da visita).
In particolare passeggiando nel quartiere Castro la timidezza bisogna proprio dimenticarsela. 🙂
Castro

6. A San Francisco si mangia (e si beve) molto bene.
Questo punto meriterebbe non uno o più post ma un blog intero a parte. Ci sono ristoranti di ogni genere, qualità ed etnia. La cucina locale è principalmente a base di pesce e con alcune specialità (come il Crab), ma è possibile gustare piatti tipici statunitensi (uh, le Ribs!), così come anche cinesi, giapponesi, thai, indonesiani, italiani (qui avrei qualcosa da dire, ma mi astengo), etc. In caso di dubbi Yelp sarà (quasi) sempre vostro amico.
Non ci si sente proprio “a casa”, ma si possono comprare anche prodotti di prima qualità, vista la crescente ricerca – quasi maniacale – di alimenti “organic” (biologici). Infatti ho incontrato davvero moltissime persone vegetariane e vegane (che stimo e rispetto, forse un giorno ci riuscirò anche io…forse). La cosa migliore per comprare verdura e frutta è andare il sabato mattina al Farmers Market o da Whole Foods o da tante altre piccole grocery di qualità che fortunatamente si trovano in giro (anche se spesso sono piuttosto care).
Organic fruitComunque…ve l’ho già detto di provare le (grasse, sporche e sugose) BBQ Ribs di Memphis Minnie’s?

Qui sotto l’amico Davide che si sta preparando a gustare un bel piatto di Crab.
Crab

7. IPA non è soltanto il palindromo di API.
IPA significa India Pale Ale ed è un tipo di birra molto diffusa in California, che ho apprezzato particolarmente durante la mia permanenza (in particolare, tra le commerciali, consiglio di provare la Lagunitas IPA).
Per chi non lo sapesse, API invece sta per Application Programming Interface.

8. La California è lo Stato Americano del vino.
Non è una novità, ma in effetti confermo che in California si possono trovare vini di molte tipologie e di varie qualità, anche se il rapporto qualità/prezzo è piuttosto inferiore a quello dei nostri vini (i vini di qualità ci sono eccome, sono semplicemente più cari degli equivalenti Italiani).
Quello che invece è particolarmente interessante e meno noto è ciò che si scopre passando una giornata nella Napa Valley (piuttosto nota) o a Sonoma (meno turistica), dove si può vedere chiaramente come le cantine sappiano valorizzare al meglio quello che hanno, offrendo vari percorsi di degustazione, apertura completa ai clienti/turisti, cura nei dettagli e nell’arredamento, grandi attitudini commerciali e di marketing: abbiamo molto da imparare su questo noi Italiani (e non solo per quanto riguarda le cantine).
Cantina

9. Il microclima di San Francisco è unico e singolare.
Molti si lamentano che a San Francisco c’è un brutto clima e che non ci sono mai l’estate e l’inverno. Da un certo punto di vista è vero e bisogna stare sempre attenti e piuttosto “protetti” uscendo di casa, visto che ci può essere una certa escursione termica durante la giornata, ma tuttavia a me questo clima piace molto: non fa mai troppo freddo e neanche troppo caldo, si può godere di un tempo mite per quasi tutto l’anno (per chi come me è un po’ meteoropatico, la carenza di pioggia è sempre molto apprezzata). L’aspetto più singolare è che tutto ciò è valido se riferito alla sola San Francisco per via della corrente della California, a cui è particolarmente soggetta: è quindi normale spostarsi qualche decina di chilometri verso la Silicon Valley (Mountain View, Menlo Park, Palo Alto, Cupertino, etc.) e passare da 18° o 20° a 30° o più, così come dalla nebbia al sole cocente.
fog buildings san francisco

10. I costi degli appartamenti a San Francisco sono piuttosto folli.
Sì, i costi degli appartamenti sono davvero folli, ma c’è di più: a volte si fa fatica a trovarli o essere accettati da affittuari e roomate anche pagando bene, ovvero da $2.500 – $3.000 / mese…e non sto parlando di andare a vivere in un’abitazione come questa (me ne sono innamorato vedendola prima di sapere che fosse famosa, ma si poteva intuire). Infatti vista l’enorme domanda per alloggi, soprattutto in certe zone, se dovete restare per un periodo limitato (anche qualche mese) troverete spesso difficoltà con possibili roomate per non essere costretti a trovare qualcun altro al vostro posto di lì a poco. Allo stesso modo sarà difficile contrarre affitti da soli per appartamenti per meno di 6 mesi (e senza credit history americana, senza stipendio negli Stati Uniti, senza…). Per permanenze inferiori ad un mese la cosa migliore è prendere un alloggio tramite Airbnb, altrimenti tentare la fortuna su Craigslist (da usare solo quando siete lì previo “appoggio” prenotato per i primi tempi su Airbnb)…e ci vorrà spesso più energia e tempo di quanto possiate pensare.

11. Corollario del punto precedente: nel quartiere Tenderloin gli appartamenti costano molto meno pur essendo in pieno centro.
Magari un motivo c’è…voi che dite? La prima volta che ci sono capitato mi è sembrato di essere in una puntata di “Ken Il guerriero”.

12. Ogni quartiere ha le sue caratteristiche davvero marcate.
Questa credo che sia una delle cose più belle di San Francisco: ogni quartiere è come una piccola cittadina a sé con le sue caratteristiche, i suoi negozi, le sue peculiarità, i suoi personaggi, etc. Ho capito quanto fossero utili (oltre che divertenti) i consigli che trovate in questo post, rileggendolo dopo due mesi che ero là (compresa la seconda parte).

13. Appendice del punto precedente: la sede di Twitter si trova all’incrocio tra uno dei punti più brutti di Market Street e la fine del mio quartiere preferito, Hayes Valley.
Sono stato in Hayes Valley solo per una settimana l’anno scorso con il mio socio Matteo ma sfortunatamente mai durante i 4 mesi di permanenza quest’anno (nonostante abbia avuto la possibilità di dovuto cambiare casa ben 3 volte, vivendo in 3 quartieri diversi). Hayes Valley resta il mio preferito per vari motivi e non tanto per i negozietti, i ristoranti, La Boulange, la tranquillità e l’eleganza ma per un feeling complessivo che non so spiegare del tutto.

14. Nei tram non bisogna addormentarsi…
…altrimenti c’é il rischio di credere ai viaggi temporali o al teletrasporto risvegliandosi in un vecchio tram milanese.tram

15. Gli Americani hanno alcune peculiarità affascinanti.
Gli Statunitensi non solo sono socievoli, “easygoing” e prendono la vita “di petto”, ma in molti sono ancora convinti che ognuno abbia la sua “possibilità”, provandoci fino in fondo…per poi farlo davvero. Credo che tutto ciò sia collegato ad un innato spirito di avventura e alla storia dell’America: infatti per un Americano è normale spostarsi più volte da una parte all’altra del Paese per motivi di studio o di lavoro (spesso ci si saluta anche per viaggi brevi con un “Have a safe trip“).
Ogni volta il tutto si risolve con una Garage Sale, vendendo in poco tempo tutti i propri beni e poi affittando o rivedendo la vecchia casa per affittarne o comprarne una nuova e cambiare vita.

16. “How are you?” non significa necessariamente “Come stai?”.
Il più delle volte viene usato “How are you?” come intercalare quando si incontra una persona, diciamo come sinonimo di “Hi” o “Hello”. La risposta giusta sarebbe replicare con un altro retorico “How are you?” ma io non ce l’ho mai fatta e ho sempre risposto davvero come stavo replicando in fondo con un “…and you?”.

17. Gli standing desk non sono (solo) una moda che si legge nelle news ma vengono usati davvero.
Da quelle parti sono veramente attenti alla salute quindi, visto che sembrerebbero esserci vari vantaggi a lavorare in piedi piuttosto che seduti, molti usano sul serio gli standing desk e non é neanche costoso provarci (all’inizio ero scettico ma mi sono ricreduto e lo farò a breve).
standing desk

18. I leoni di mare sono molto carini, ma…
…non sono proprio profumati. Sappiatelo.
Sea Lions

19. A San Francisco e nella Bay Area c’è un’ottima comunità di Italiani ed Italian lovers.
Mi è capitato molto spesso di conoscere persone che, per mettermi a mio agio, dicevano subito in italiano le parole che sapevano, ricordando i viaggi fatti in Italia o in Europa con nostalgia e grande positività.
Inoltre la comunità di Italiani è molto legata e facile da raggiungere. Un buon punto di partenza è BAIA dove sarà facile conoscere qualcuno anche della propria regione.
Ecco una foto di un pranzo a base di arrosticini (originali, fatti in casa e squisiti) organizzato da Vincenzo in uno splendido rooftop.
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20. Tutto inizia e finisce prima (ma non necessariamente).
E’ normale svegliarsi alle 6, essere in ufficio entro le 8 ed uscire alle 17: infatti gli happy hour iniziano tipicamente alle 17:30, si va a cenare dalle 18-18:30 (anche se in realtà spesso non c’è discontinuità tra pranzo e cena) ed è frequente che i ristoranti chiudano la cucina alle 21:30.
Ma non temete! Per gli amanti della vita notturna ci sono i nightclub…e no, non sono intesi come dalle nostre parti, sono quelli che in Italia si chiamano discoteche o discopub (a proposito non mancate di fare un salto in Polk Street il venerdì o sabato sera, soprattutto se siete single), a meno di non voler andare in qualche club su Broadway (North Beach).
In ogni caso bisogna essere maggiorenni per poter comprare dell’alcool o per entrare in qualunque posto in cui venga servito: alla mia età ammetto di aver avuto sempre una certa soddisfazione alla richiesta di mostrare il Photo ID per poter comprare vino o birra al supermercato o per poter entrare nei locali la sera (ma devono essere particolarmente attenti dato che, nel caso, ci sono pene molto salate e severe sia per i dipendenti che per i gestori).
Una nota sui ristoranti: come nel resto degli USA, è insolito ordinare l’acqua in bottiglia, visto che quella del rubinetto è sempre servita prima ancora che vi sediate e in fondo non è poi così male. Il problema nel caso è il ghiaccio: di default c’è sempre e ovunque…nell’acqua, nelle bibite, etc.

21. In Italia abbiamo alcuni servizi di cui ci lamentiamo o che diamo per scontati quando invece sono tecnologicamente molto avanzati.
Come esempio ci sono gli impianti elettrici, le telecomunicazioni o i treni.
Fidatevi, il FrecciaRossa e la metropolitana di Milano sono favolosi e c’è poco da lamentarsi: lo capirete dopo aver preso BART (la metro di San Francisco) o il Caltrain per spostarvi verso la Silicon Valley, sicuramente efficienti ma tecnologicamente arretrati.

22. Google e Facebook sono (anche) interessanti mete turistiche.
La prima è interessante da visitare anche passeggiando all’esterno degli edifici e nei parchi (ma grazie comunque a Claudio ed Alex per l’ospitalità), mentre per la seconda dovreste avere qualche amico che lavori lì e vi ospiti (grazie Davide! :)) visto che all’esterno c’è quasi solo la grande insegna blu con il pollice in su di fianco a “facebook”.
Android Building
Avete visto il film The Intership? Sembra che la bicicletta per fare le riunioni pedalando nel parco esista davvero!
Bicicletta per riunioni Google

23. Consiglierei a chiunque di fare almeno un’esperienza di studio o lavoro lì.
In particolare se la materia di cui ci si occupa è scientifica o se si vuole lavorare nella tecnologia/Internet, non c’è motivo per non tentare di fare un’esperienza di studio o lavoro negli Stati Uniti in generale e a San Francisco in particolare: attenzione potrebbe creare dipendenza o cambiarvi completamente la vita!
In particolare l’Università di Bologna con il programma Overseas offre un’opportunità molto interessante. L’ho scoperto conoscendo alcuni studenti all’ambasciata che erano in fila con me per il visto (se ci fosse stato ai miei tempi ne avrei approfittato).

24. Il Caffè Americano filtrato a mano sul momento è da provare…
…in particolare quello di Philz. Ma devo anche ammettere che da Cavalli a North Beach ho gustato uno dei migliori espressi mai provati.
Caffe Americano

25. Gli skater ci sono ancora e comprano prodotti Apple.
Ne ho le prove!
Skater Apple

26. Al mare non si fa il bagno.
Ma, se non temete troppo il freddo e le correnti, può essere una buona occasione per imparare a fare surf.
surfisti

27. Altre cose da ricordare.

  • Non è mai troppo tardi (o troppo presto) per viaggiare.
  • Non è mai troppo tardi (o troppo presto) per fare nuove esperienze.
  • Non è mai troppo tardi per seguire i propri sogni.

Inoltre vorrei ringraziare tutti gli amici vecchi e nuovi che mi hanno aiutato in vari modi durante i mesi passati lì (una lista assolutamente non esaustiva comprende: Filippo, Paolo, Stefano, Naomi, Elena, Giovanni, Matteo, Andrea, Davide, Nicola, Vincenzo, Roberto, Pancrazio, Ross, Greg, Dario, Mattia, Veronica, Stefania, Pietro, Maurizio, Francesco, Aurora, Armando, Luca, Marco, Augusto, Michele, Razvan, Pierluca, Yiying, Luigi, Claudio, Alex, Wendell, Tash, Merewyn, Ale, Momi e tutti gli amici, soci e colleghi che mi hanno sopportato dall’Italia dovendo lavorare con me solo via mail o attraverso uno schermo): grazie davvero per tutto, non lo dimenticherò mai!

My (Lean) Startup Metrics & Analytics presentation at Better Software

Unfortunately I’m recently writing very rarely in my blog. However I tried to “force” myself to study a topic of interest and very hot in the startup ecosystem, using the opportunity to pitch a presentation last week at Better Software about (Lean) Startup Metrics and Analytics.

Hope that you find it useful and that I will have a chance in the future to do something a little bit original and more centered on my personal experience (that I’m still learning on this matter).

Un buon anno (2011) passa e un buon anno (2012) arriva

Parafrasandomi in merito alle scelte (della vita), non esiste un anno “sbagliato”. Esistono solo anni con più o con meno esperienze, insegnamenti, impegni.
In definitiva ogni anno è quindi buono per definizione e per fortuna nel mio caso anche questo è stato molto intenso come gli ultimi. Ma non lo è stato solo per me: anche l’Italia, nonostante la situazione politica ed economica che stiamo attraversando, si sta facendo strada nel mondo dell’innovazione e il termine “startup” sembra diventato quasi di moda e sta iniziando a sentirsi sempre più nelle parole di molti.

C’è chi dall’estero investe in startup italiane (*), startup italiane che vengono acquisite negli USA e altre che prendono finanziamenti nella Silicon Valley da investitori di tutto rispetto. Ma ci sono anche diverse startup italiane che ricevono finanziamenti principalmente (e non solo appunto) da italiani, come: Spreaker, Fubles, Iubenda, Risparmiosuper, Prestiamoci, Cascaad, Beintoo, etc. (una lista esaustiva l’ha stilata proprio oggi il buon Magnocavallo). [DISCLAIMER: quelle segnalate sono principalmente startup “amiche” :)]

Ovviamente tutto ciò è una conseguenza dei nuovi trend e mercati che si sono sviluppati recentemente. Ovviamente per deformazione professionale ed interesse personale cito in particolare la conferma di interesse nel Social Commerce sia in Italia che all’estero, ma anche il mobile, ad esempio, ha avuto una (prevedibile) svolta sostanziale negli ultimi 12 mesi: in questo caso il dato più significativo ed interessante è il sorpasso di utilizzo delle app mobile rispetto al web (negli USA).

Sono sempre stato contrario ai confini territoriali di ogni genere quindi non penso che sia giusto o sbagliato a priori essere in un determinato luogo per realizzare la propria impresa, soprattutto quando si parla di qualcosa che debba avere un respiro internazionale sin dalla nascita. Tutto dipende da cosa si deve fare, dove sono i propri clienti o come si devono cercare, dove si trovano le persone con cui fare squadra (ah, le persone…variabile determinante per la riuscita di ogni buon progetto!), dove si trovano gli investitori che possono fare al caso proprio e in cui si riesca ad entrare in sintonia e, in fondo, anche dove ci si riesca a trovare a proprio agio. Quindi: coraggio e…avanti Italia! Avanti Europa!! Avanti Mondo!!!

Quest’anno ci sono stati tanti eventi interessanti per aiutare la condivisione della conoscenza riguardo a temi legati alle startup, mobile, nuove tecnologie, metodologie Agile e tanto altro. Mi dispiace di aver partecipato solo ad alcuni di questi tra cui ricordo: WhyMCA e l’interessante Knowcamp organizzato da Nicola Ballotta (uno dei rari eventi del genere nella provincia di Modena).
Quello che mi riprometto nel 2012 è non solo partecipare a più eventi possibilmente in modo attivo ma anche di dare maggiore vita al gruppo Lean Startup Meetup di Bologna (e Milano) organizzando degli incontri insieme all’amico Giancarlo su questi temi in cui nutro particolare interesse e di cui parlerò più spesso in questo blog, facendo riferimento ad esperienze “sul campo”.

Nel frattempo vorrei condividere i libri che ho letto nel 2011 che reputo siano particolarmente interessanti per lo sviluppo di una startup (attenzione: con startup si intendono anche progetti all’interno di aziende affermate con perimetro ben definito e con una certa libertà di poter innovare e crescere):

  • The Lean Startup di Eric Ries:  il libro uscito nell’ultima parte dell’anno scritto dal “padre” della lean startup. Ricordo che tutto nacque nel 2008 da un post nel suo blog.
  • Start Small, Stay Small di Rob Walling: un libro che ogni sviluppatore apprezzerà per la sua chiarezza ed efficacia.
  • Running Lean di Ash Maurya: è un libro scritto da un imprenditore con una formazione da sviluppatore che tratta nella pratica, con metodologie ben precise, come portare avanti una startup con un processo lean. Interessante seguire anche il suo blog.
Infine non posso non menzionare dei “classici” come: The Four Steps to the Epiphany di Steve Blank (il mentore che ha ispirato Eric Ries riguardo alla Lean Startup con il Customer Development e da cui è quindi nato tutto), Business Model Generation di Alexander Osterwalder (utili esempi di business già esistenti e ben noti su come usare i lean canvas) e The Art of the Start di Guy Kawasaki (un po’ vecchio ma ancora valido per avere idea di come *non* fare un business plan e presentazioni a partner o investitori). Peraltro riguardo alle presentazioni non posso esimermi dal menzionare il sempre validissimo Presentation Zen.

Vorrei scrivere ancora tante altre cose ma rischio di tardare troppo per il Cenone…al prossimo anno e tanti auguri a tutti per un inevitabilmente meraviglioso 2012!

(*) Cibando è una startup che seguo sin dalle origini – come Mashape del resto 🙂 – ma l’episodio simpatico è stato che conobbi il giovane e sveglissimo Guk dopo una mail che inviò alla mia locanda (che penso sia stato uno dei primi ristoranti nella piattaforma) che all’inizio non presi bene – interpretandola erroneamente come spam 🙂 – ma dopo una risposta accesa da parte mia siamo arrivati ad uno scambio costruttivo e duraturo. Guk è un esempio che tutti i ragazzi dovrebbero considerare, insieme ad altri giovanissimi come Andrea Giannangelo (fondatore di Iubenda): ventenni che invece di andare alla ricerca disperata dal tanto ambìto (e sempre meno sensato) “posto fisso” scelgono di costruirsi il proprio lavoro con impegno e dedizione. Credendoci. Sono cose su cui riflettere.

That’s startup life

Gli ultimi mesi sono stati parecchio intensi. Tanto lavoro, molti viaggi e spostamenti, ma anche fantastiche persone con cui ho affrontato nuove esperienze professionali (e che non dimenticherò).

Insomma, non basta mai ripeterlo abbastanza: fare la startup è dura e per andare avanti spesso bisogna effettuare delle scelte “particolari”, non sempre del tutto razionali nel senso più stretto e classico del termine (forse anche l’amico Luca avrebbe qualcosa da aggiungere al riguardo :)).

Lo dicono tutti: ad esempio Steve Blank chiama il percorso di chi vuole fare l’imprenditore “disconnected path“, ma non riesco a togliermi dalla testa una presentazione di Tara Hunt, condivisa poco tempo fa da Alberto, dal titolo – e contenuto – meraviglioso: “So You Wanna Do A Startup? Bwahahahaha… Sucka”. Verità assolute.

E poi ogni tanto ci si mette anche la sfiga ad aggiungere il carico proprio nel momento in cui meno te l’aspetti, come è successo il 21 aprile sia a Blomming che a tante altre startup, con il piccolo particolare che proprio quel giorno è andato in onda anche un servizio su di noi durante il TG1 Economia. Ma non voglio anticiparvi troppo perché ho raccontato tutta la storia la settimana scorsa a Better Software e la potete leggere nella presentazione qui sotto.

Running Lean e il nuovo corso di Steve Blank a Stanford

Per chi fosse interessato allo studio di come realizzare una lean startup, segnalo un interessante libro di Ash Maurya in uscita a breve. A questo link potete scaricare l’attuale versione “Release Candidate” dell’e-book (scoperta qui grazie a Filippo Diotalevi).

Inoltre Tara Kelly ha giustamente messo particolare enfasi sul prossimo corso di Steve Blank a Stanford che si basa, oltre che sulle “classiche” lezioni di Customer Development, anche sul formare un team con cui creare una startup in 10 settimane in grado di accettare ordini! In effetti è una possibilità unica di imparare – e applicare – i concetti per creare una lean startup…sia nella teoria che nella pratica. Maggiori info qui.
Se qualche appassionato avesse voglia, tempo e possibilità, credo che possa essere un ottimo investimento da fare. 🙂

La lean startup e il customer development model. In Italia.

La scorsa settimana i ragazzi di Mashape, con un articolo pubblicato su TagliaBlog, hanno dato il via a discussioni piuttosto calde e contrapposte riguardo al tema “Fare una startup in Italia o in Silicon Valley?”. Ne è poi scaturita una risposta diretta ed altre discussioni indirette come questa.

Non nascondo una grande simpatia per i giovani ventunenni milanesi e per la loro visione “romantica” di come portare avanti il proprio sogno in USA (per cui faccio un grande tifo) ma, per una serie di motivi, io attualmente sono e voglio restare in Italia…di conseguenza mi interessa rendermi conto se anche da noi possano funzionare alcuni meccanismi, “pattern” e metodologie proprie delle startup USA. Del resto è oggettivo che oltreoceano ci sia maggiore esperienza al riguardo e che in Italia venture capital ed angel che investono su startup Internet siano di qualche ordine di grandezza inferiori. 🙂

Tuttavia la teoria del come fare una startup partendo dal basso, ovvero dai bisogni dei clienti che possono essere potenzialmente interessati ad un prodotto, a mio avviso è applicabile anche in Italia. Ovviamente, una volta superata eventualmente la prima fase, il respiro dovrebbe essere Internazionale per avere un mercato in grado di supportare una ragionevole crescita.

Di cosa sto parlando? Del Customer Development Model di Steve Blank, autore di Four Steps to the Epiphany, libro che sto finalmente leggendo con attenzione (cosa che consiglio vivamente di fare). Steve è un imprenditore seriale di successo della Silicon Valley (5 delle sue 8 startup sono state quotate in borsa) e attualmente professore alle università di Berkeley e Stanford. Dalla sua teoria su come realizzare una startup è  nato anche il movimento di Lean Startup, portato avanti insieme ad Eric Ries. Alcuni dettagli li potete trovare in queste due presentazioni: cosa è il Customer Development e cosa significa fare una Lean Startup.

Il concetto di fondo è che in genere tutti coloro che vogliono realizzare un nuovo servizio sono:
– Naturalmente abituati a pensare alle funzioni che dovrebbe avere
– A realizzarlo
e solo successivamente
– A valutare il feedback degli utenti/clienti sul prodotto/servizio.
Nel frattempo vengono tipicamente spesi parecchi soldi in marketing, sviluppo, organizzazione vendite, etc. il tutto sulla base di un business plan previsionale con assunti verificabili solo a posteriori.
Tutto ciò è tipico del Product Development Model, come di seguito.

L’intuizione di Steve Blank è stata quella di analizzare le startup che hanno avuto successo, trovando pattern comuni e riconducibili al fatto di essere state tutte molto attente ai bisogni dei clienti sin da subito. Pochi soldi spesi bene per realizzare quello che gli utenti volevano davvero e per cui erano disposti a pagare. Da qui il Customer Development Model, schematizzato di seguito:

Non entro nel dettaglio dello schema – mi piacerebbe tornarci in seguito – ma volevo intanto colpire la fantasia mettendo a confronto i due diversi modi di approcciare il problema, molto diversi.
Ultima curiosità per chi si intende di metodologie di sviluppo software: non notate un certo parallelismo? Guardate lo schema di seguito, che è la base dell’integrazione portata da Eric Ries al Customer Development Model creando il movimento della lean startup.

Il Product Development Model non ammette quindi di tornare allo stadio precedente (equivarrebbe al fallimento) ed è assolutamente seriale, mentre sia il Customer Development Model che l’Agile Development sono impostati su processi iterativi. Da notare l’importanza dell’analisi dei feedback tornando se necessario allo stadio precedente “imparando” dai propri errori per ripetere meglio l’azione successiva.

Sono tutti concetti non banali a cui ho soltanto accennato. Spero di aver stimolato la fantasia di qualcuno e di poter approfondire alcuni di questi aspetti in seguito.

Intanto io e Giancarlo stiamo portando avanti un gruppo ufficiale qui a Bologna del movimento Lean Startup che è attualmente anche l’unico in Italia. Questa teoria merita invece molta più visibilità e sono contento che ci sia qualcuno che si stia muovendo in questo senso come i ragazzi di TOP-IX di Torino che organizzeranno a breve un evento su questi temi. 🙂